I Riti Caduti Nella Rete


di Marco Minoletti


Viviamo in una società dominata dal narcisismo collettivo e da una sorta di super-io dominante che ha trasformato l’individuo in “soggetto di prestazione”.

La dialettica servo/padrone, così com’era stata concepita da Hegel e dai suoi continuatori, si è cortocircuitata ed è pervenuta ad una sintesi “superiore” all’interno del soggetto stesso. Interno ed esterno si sono identificati e il conflitto ha finito così per risolversi nel dialogo che ciascuno di noi intrattiene con se stesso, con la propria anima svenduta al Moloch.

Il vero problema, infatti, è costituito dal fatto che questa dialettica è mediata dallo spettacolo della merce e dalla scienza della pubblicità, la sua ancella.
Il “comando” esterno, un tempo impartito da padroni in carne ed ossa, in altre parole, è stato sostituito dalla società spettacolare-mercantile, dal mondo della merce fattosi immagine, e si è gradualmente interiorizzato.
Esso non proviene più da un comando esterno con cui si può entrare in aperto conflitto, ma viene paradossalmente generato direttamente dal soggetto stesso.

L’esserci dell’essere non è più un rapporto con il tempo, ma con le mode del tempo e i loro imperativi. Le cortine fumogene sono talmente fitte che “il nemico” non solo si è reso invisibile, ma è riuscito persino a prendere d’assalto il fortilizio dell’in-sé. Il progressivo venir meno di “ideali superiori” e di un certo sano romanticismo, che avevano caratterizzato i due secoli che ci hanno preceduto, ha ridotto il “sogno di una cosa” a semplice cosa, a oggetto di consumo fine a se stesso.

La necessità di produrre sempre più merce ha progressivamente sospinto il rapporto sociale/capitale, mediato dal modo di produzione capitalistico, fin nelle nostre viscere colonizzando anche la vita domestica, i sogni, le aspettative, i desideri – insomma tutte le sfere che nella prima fase di sussunzione del capitale si sottraevano ad esso.

La merce manifestandosi nella pubblicazione dell’ultimo libro di Sloterdijk, o nell’immissione sul mercato del nuovo modello della BMW, polverizza, nell’attimo del suo apparire, ovvero nell’istante stesso in cui si lascia afferrare, il miraggio che aveva creato intorno a sé, spostandolo semplicemente sul nuovo prodotto in via di realizzazione.

Ogni nuovo modello di smartphone, tanto per fare un esempio, viene presentato dagli specialisti nella scienza della pubblicità come la quint’essenza della telefonia, lo smartphone in sé, lo smartphone perfetto, ma il superamento di quel modello con l’immissione sul mercato del nuovo, smaschera l’inganno e nel medesimo tempo lo ricrea. Ed intanto, ironia della sorte, lo smartphone viene utilizzato in rete per comunicare agli amici la propria opinione su concetti ormai privi di contenuto quali libertà, diritti, comunità, ecc…

Sic stantibus rebus, affermare che è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che gli individui possano ribellarsi e dar corso ad una reale trasformazione delle proprie esistenze è dire un’ovvietà.

In un recente saggio, “La scomparsa dei riti. Una topologia del presente” Byun-Chul-Han, pensatore tedesco di origini coreane, ci fornisce alcune indicazioni su come riaprire una connessione con l’altro e dunque, indirettamente, anche con il nostro comune nemico, il Moloch. Infatti, il “nemico” che corre costantemente come sottotesto del saggio è il “regime neoliberista” e cioè il regime fondato sul primato incondizionato della produzione e del consumo.
Produzione e consumo che, con l’introduzione del digitale, hanno invaso anche la sfera emozionale. Basti pensare all’iper-consumo di informazioni, dati e comunicazione indotti dalla cosiddetta “libertà” in rete.

L’autore, anche se non lo cita, deve sicuramente aver letto il saggio di filosofia acrobatica e pedagogica intitolato “Devi cambiare la tua vita” di Peter Sloterdijk.
Come Sloterdljk, ma con una visione generale meno pessimista, anche Byun-Chul Han sostiene l’urgenza di un cambiamento di rotta radicale e invoca con forza un nuovo modo di vivere.

Nel tentativo di leggere il nostro presente utilizza “come un lucido di contrasto” la genealogia della scomparsa dei riti, ma senza rimpianti e soprattutto senza interpretare la loro progressiva scomparsa come un processo di emancipazione. Stiamo assistendo alla erosione e scomparsa dei rituali. I riti sociali, fondandosi sulla percezione simbolica, hanno una funzione valoriale e normativa. Creano, cioè, le fondamenta sulle quali si regge una comunità.

Il venir meno dei rituali fa sì che una comunità senza comunicazione (simbolica) diventi comunicazione senza comunità (ad esempio i social).
I rituali, scrive Byung-Chul Han, assomigliavano alle cose in quanto stabilizzavano la vita umana, rafforzavano la sua durata, per così dire.
I rituali rappresentano la dimora figurata dell’uomo nel tempo, alla stessa stregua dell’abitazione in rapporto allo spazio.

Nel romanzo “Cittadella” Antoine de Saint-Exupéry, citato dall’autore, fa dire al protagonista: “In tal modo posso procedere d’onomastico in onomastico, di compleanno in compleanno, di vendemmia in vendemmia, così come da bambino camminavo dalla camera di consiglio alla camera silenziosa, fra le spesse mura del palazzo di mio padre, nel quale tutti i passi avevano un senso”.

Grazie ai rituali l’uomo trova una dimora nel tempo. La perdita dei rituali, la loro erosione equivale alla perdita della propria dimora spaziale, espone l’uomo all’incertezza, viene meno una struttura stabile.
Insomma, per Han il rituale è la casa dell’uomo come per il Mago della Foresta Nera il linguaggio è la casa dell’essere.

Oggigiorno parlare – nota Han – è comunicazione digitale obesa, comunicazione senza comunità. Tutti sono costantemente e ovunque a dire qualcosa su qualcosa.
Il rituale – di contro – essendo guidato da regole produce ripetizione.
Una ripetizione porta qualcosa avanti o indietro: vale a dire ciò che già sai.

In altre parole, i rituali aiutano, o forse sarebbe meglio dire, aiutavano le persone a trovare la loro strada nel mondo, a fissare una dimora nella casa del tempo.
Fondandosi sul silenzio, producevano comunità senza comunicazione che è in palese contrasto con la comunicazione senza comunità vale a dire, l’immagine che il mondo dà oggi di sé.

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