“La mia generazione non è nata per uccidere o essere uccisa”


Sofia Orr, giovane obiettrice di coscienza israeliana


I criminali assetati di sangue che governano Israele vogliono massacrare quanti più civili palestinesi possibile. Da decenni opprimono e perseguitano il popolo palestinese. Da mesi perseguono la soluzione finale: bombardando in modo scientifico i civili, scacciandoli sistematicamente dalle loro case, affamandoli, facendoli morire per mancanza di medicine e beni essenziali…


Uno stato canaglia che viola impunemente, ogni giorno, l’Etica e la Morale prima che ogni risoluzione ONU e trattato internazionale.
Uno stato illegale dove il terrorismo è praticato su larga scala dall’esercito e in modo capillare dai coloni che in Cisgiordania seminano il panico assassinando civili palestinesi inermi.
Ci sentiamo sempre vicini ai nemici interni dei governi.
Sempre siamo solidali con chi dice il proprio singolo “no” alla barbarie dello Stato.
In uno Stato con un governo di estremisti assassini come quello israeliano non è facile dissentire in modo radicale, rivoltarsi a leggi sanguinarie e al senso comune.
Israele è uno Stato maledetto che sopravvive miseramente nell’orrore della guerra e dell’oppressione. Uno Stato terrorista condannato dalla storia dei giusti all’abiezione.

Dobbiamo prendere esempio da questa giovane donna e cercare di contrastare la violenza dei disumani criminali di guerra al potere in Israele.

L’obiettrice di coscienza Sofia Orr è stata condannata ieri ad altri 20 giorni di carcere militare per essersi rifiutata di arruolarsi nell’esercito israeliano. Ecco una sua lettera sulla strage di palestinesi che cercavano di procurarsi del cibo.

In una recente visita del mio avvocato, ho sentito parlare un po’ del
mondo esterno e della recente sparatoria contro i palestinesi che a
Gaza lottavano per ottenere cibo e aiuti. Questa storia non mi ha
abbandonato; ho continuato a pensarci costantemente mentre ero in
carcere.



Oltre al fatto che sparare a persone affamate che cercano di procurarsi del
cibo è un orribile crimine di guerra, credo che dobbiamo riconoscere
che non si è trattato di una coincidenza o di un fatto insolito. È
un evento che rappresenta la direzione che sta prendendo la coscienza
di Israele. Una coscienza di disumanizzazione, che si collega alla
volontà di vendetta, dopo che abbiamo fallito nel gestire la
popolazione palestinese.



Voglio ricordarvi che le persone che hanno circondato i camion carichi di
cibo non sono affamate per caso. Stanno morendo di fame. Da dietro le
sbarre vi chiedo: provate a pensare a cosa li ha spinti a correre
verso i camion.



E poi c’è stata la sparatoria. Resistete alla tentazione di
trasformare gli affamati in mostri. Quando lo facciamo, li uccidiamo
senza pensarci due volte, perché li abbiamo trasformati tutti in
mostri. Le loro vite non hanno più valore.



Quando ho sentito ulteriori dettagli, ho capito che la storia raccontata dai
media israeliani descriveva un assalto violento da parte di chi
cercava cibo, durante il quale i soldati si sarebbero sentiti
minacciati e avrebbero sparato per autodifesa. “Gli affamati non
erano abbastanza educati e organizzati mentre facevano la fila”.



Perché non si può comandare una folla affamata, e quando non si può
comandare, si cerca di ucciderne il più possibile per recuperare la
“deterrenza” e fingere che il sangue versato aiuti a riprendere
il controllo.



Anche se non si tiene conto di questa storia specifica in cui i soldati
cercavano di gestire una popolazione di rifugiati affamati, Israele
mette sempre i palestinesi in condizioni invivibili, cerca di
gestirle e fallisce. E quando il fallimento ci esplode in faccia e va
fuori controllo, ci convincono che è colpa dei palestinesi. È così
che possono uccidere e far sì che questo non abbia alcun
significato.



Molti cercheranno di dire, e la maggior parte degli israeliani cercherà di
credere, che la sparatoria era giustificata, che i soldati si
sentivano minacciati e che sparare alla gente di Gaza va bene, visto
che sono il nemico. Questo è un altro motivo per cui mi trovo qui,
nella prigione militare.

Sento l’obbligo di parlarne e di ricordare che stiamo parlando di esseri
umani. Non permetterò che la disumanizzazione continui senza alcuna
resistenza.



Come obiettrice di coscienza, purtroppo non ho niente di positivo da dire
in questo momento, ma ciò rafforza la mia volontà di fare ciò che
faccio, di rifiutare di arruolarmi, di pagare il prezzo e di stare in
prigione, di continuare ad alzare la voce e di non lasciare che la
disumanizzazione passi sotto silenzio.



Ve lo dico dal carcere: i palestinesi sono esseri umani e non posso
restare a guardare mentre muoiono. Non si può più fingere di
gestire la situazione; questa finzione non fa altro che favorire
questi caotici spargimenti di sangue.



La mia generazione non è nata per uccidere o essere uccisa e per avere
un futuro qui dobbiamo passare al processo di pace e fermare la
guerra.



Come possiamo porre fine a questa situazione? Prima di qualsiasi accordo e
dei suoi dettagli, bisogna dare diritti umani e diritti civili a ogni
singola persona, dal fiume al mare.



Traduzione dall’inglese di Anna Polo




Foto di Sole Tsalik, Mesarvot

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