Il Nazifascismo Separatista Putiniano Nel Donbass


Il leader della repubblichetta del Donbass, Denis Pushilin premia un soldato che porta sul braccio una versione leggermente modificata del teschio della divisione ss totenkopf e le rune del ‘valknut’ uno dei simboli preferiti dai neonazi


di Andrea Ferrario


I nazifascisti ed estremisti di destra che hanno fondato e diretto le due “repubbliche popolari” del Donbass a partire dal 2014.
Messi temporaneamente da parte dal Cremlino una volta terminati i loro compiti, sono tornati in questi giorni sulla scena della guerra.

Documentiamo come le leggende sull’esistenza di un autentico antifascismo nel Donbass siano una colossale “patacca”, occupandoci in particolare della figura del defunto comandante Mozgovoy e dei suoi nessi con l’estrema destra.


1) I nazifascisti delle “repubbliche” del Donbass

Mentre in Italia ci si è sempre concentrati esclusivamente sui neofascisti ucraini, il problema macroscopico del nazifascismo nelle “repubbliche popolari” e in Russia è stato sistematicamente ignorato. La sinistra italiana, e la massima parte di quella internazionale, si è fatta passare sotto il naso senza pronunciare nemmeno un timido “ohibò” quella che probabilmente è stata la più ampia operazione politica e militare nazifascista in Europa dopo il 1945, la creazione nel 2014 delle “repubbliche popolari” separatiste di Donetsk e Lugansk e le loro azioni militari, condotte sotto l’egida di Mosca per ottenere il controllo del Donbass.

Le modalità di creazione delle “repubbliche” e il profilo dei nazifascisti che le hanno fondate sono descritti nell’approfondita indagine pubblicata da “Crisi Globale”, con decine di link a fonti principalmente separatiste e russe, a fine aprile 2014, cioè quasi in presa diretta:

L’anima nera della “Repubblica di Donetsk”

Nell’articolo viene descritto nei dettagli come i gruppi all’origine delle due “repubbliche” separatiste create subito dopo Maidan e l’annessione della Crimea fossero formati interamente da nazifascisti, razzisti, antisemiti ed estremisti di destra filozaristi. I più importanti di loro venivano dalla Federazione Russa e non avevano in precedenza avuto nulla a che fare con il Donbass.
I due leader principali, Igor Girkin “Strelkov” e Aleksandar Boroday, corrispondono esattamente a questo profilo, e almeno il primo, con esperienze militari in Bosnia e in Cecenia, era sicuramente legato ai servizi segreti russi.
Lo stesso vale quasi sicuramente per l’intera dirigenza separatista, che ha agito in perfetta sintonia con la pianificazione degli eventi da parte di Mosca, sebbene per ovvi motivi solo per alcuni dei suoi esponenti vi siano precise evidenze.

Anche le forze armate delle due “repubbliche” erano sotto controllo fascista, basti pensare che quelle della “repubblica di Lugansk” sono state a lungo sotto il comando di un noto neonazista di San Pietroburgo, Aleksey Milchakov, e quelle della repubblica di Donetsk sotto quello di un altrettanto noto neonazista, Aleksandr Matyushin, già a capo della sezione di Donetsk del gruppo neonazista Russkiy Obraz e dell’organizzazione giovanile della relativa “repubblica”, nonché fondatore del battaglione nazifascista Varyag.

Sotto gli ordini dei loro camerati inviati da Mosca hanno agito anche alcuni microgruppi neofascisti locali del Donbass, attivatisi in funzione anti-Maidan già prima degli eventi del marzo 2014. Questi ultimi erano privi di ogni legame con la popolazione locale e hanno ottenuto i loro risultati unicamente grazie al sostegno di Mosca, nonché all’appoggio condizionato ricevuto dai potentati mafio-oligarchici locali.

Inoltre, i nazifascisti e gli altri estremisti di destra a capo delle “repubbliche” separatiste, facevano parte di una rete internazionale creata dal Cremlino attraverso “Unioni eurasiatiche”, “conferenze internazionali”, convegni, convocazioni di “osservatori internazionali” a elezioni farsa, mirati a fare convergere l’estremismo di destra europeo (e negli anni successivi, anche statunitense) verso gli interessi di Mosca.
Pertanto la dimensione dell’operazione nazifascista separatista, al contrario per esempio di quella del neofascismo ucraino, è anche di natura paneuropea.

Infine, avevamo pubblicato sempre nel 2014, a titolo documentativo, il testo “teorico” di un ideologo della “Repubblica di Donetsk”, Igor Droz, che è emblematico della natura di estrema destra, integralista cristiana e omofoba delle repubbliche separatiste: L’”antifascismo” neofascista della Novorossiya.
Igor Droz era vicino a Igor Strelkov e partecipava alle riunioni del think-tank separatista Izborsky Club, di cui faceva parte anche il noto neofascista russo Aleksander Dugin.

Ma cosa è successo dopo il 2014-2015?
Mosca ha progressivamente rimosso la maggior parte degli uomini della prima ora, cioè i fascisti di cui sopra. Questi ultimi si dimostravano poco controllabili, molti comandanti avevano creato dei veri e propri feudi in reciproco conflitto, o in conflitto con le dirigenze di Donetsk e Lugansk.
Putin grazie ai nazifascisti separatisti aveva portato a termine con successo la prima fase della sua guerra contro l’Ucraina, non era per il momento interessato ad allargare un conflitto per il quale non si riteneva ancora preparato e puntava per il momento a tenere in scacco il governo di Kyiv dopo avere messo un’ipoteca sul funzionamento del paese con la creazione delle “repubbliche” separatiste, continuando però a intessere una rete di estrema destra a livello europeo che gli poteva tornare utile su temi come le sanzioni, il gas e altro ancora.

I separatisti della prima ora sono stati fatti quasi tutti uscire di scena in un modo nell’altro. Strelkov e Boroday sono stati richiamati a Mosca (il secondo oggi è deputato di Russia Unita), svariati comandanti sono stati uccisi.

Il primo nuovo uomo, che nell’estate del 2014 ha sostituito il “presidente” separatista Boroday, è stato Alexander Zakharchenko, anch’egli proveniente da ambienti di estrema destra, ma più grigio e obbediente – il che non lo ha salvato però dal morire in un attentato nel 2018.

Anche svariati altri comandanti noti, come Motorola, Givi o Alexey Mozgovoy, sono stati uccisi. Oggi al potere rimangono personaggi privi di ogni personalità, veri e propri burattini di Mosca, come Denis Pushilin, l’unico sopravvissuto della prima ora, anch’egli connesso con l’estrema destra, ma lungi dall’esserne stato un militante attivo: nel periodo prima del “separatismo” si limitava a rubare soldi ai pensionati come dirigente di una piramide finanziaria.

Battaglioni neonazisti (il Rusich) o con una nutrita presenza neofascista al loro interno (il Somali) hanno però continuato e continuano a operare sul terreno in Donbass e in queste settimane Pushilin si è fatto cogliere mentre decorava un comandante che recava sulla divisa un simbolo neonazista.

Di tendenze naziste è anche il gruppo mercenario stragista Wagner (si vedano ad esempio gli articoli di Res Publica e del Guardian) che, come già nel 2014, sta oggi operando nel Donbass a fianco dei separatisti e dell’esercito russo, dopo avere combattuto e compiuto eccidi in Medio Oriente e Africa al servizio di Mosca.

L’eliminazione della maggior parte dei fascisti dei primi due anni delle repubbliche separatiste non vuol dire che queste ultime si siano democratizzate. Sono sempre rimaste dittature dove si praticano sistematicamente la tortura, gli omicidi mirati contro le briciole sopravvissute della società civile, le politiche omofobe e integraliste cristiane. Inoltre la dirigenza separatista ha distrutto l’economia locale con una pura politica di saccheggio, non pagando gli stipendi agli operai, o consegnando i beni del paese a grandi capitalisti della Federazione Russa.

Su questi aspetti una delle migliori fonti è il dettagliato articolo di Natalia Savelyeva pubblicato dalla Fondazione Rosa Luxemburg.
Molto utili anche i precisi materiali pubblicati dallo storico e attivista di sinistra Simon Pirani nel suo sito “People and Nature”, come ad esempio The “republics” Putin is fighting for e Social protest and repression in Donbass.

Sulla natura di estrema destra delle “repubbliche” separatiste fondamentale è il saggio “Russian White Guards in the Donbass” di Zbigniew Marcin Kowalewski, pubblicato da International Viewpoint, così come il suo “The oligarchic rebellion in the Donbass”.
Un altro articolo che traccia con precisione i nessi tra neonazisti russi, Cremlino e nazifascisti del Donbass è “Neo-Nazi Russian nationalist exposes how Russia’s leaders sent them to Ukraine to kill Ukrainians”.

Utili anche “The Involvement of Russian Ultra-Nationalists in the Donbas Conflict”, di Richard Arnold, e il recente “Neo-Nazi Russian Attack Unit Hints It’s Going Back Into Ukraine Undercover”, sul battaglione neonazista Rusich.

Per quanto riguarda i documenti fotografici, consigliamo queste due “gallerie” di immagini sui nazifascisti del Donbass:

http://www.evasiljeva.ru/2017/08/blog-post_20.html

https://glavnoe.ua/news/n186957


2) Antifascisti nel Donbass? Ma non scherziamo…

In Internet circolano numerosi materiali fotografici e “reportage” sulla presenza di comunisti e antifascisti tra i separatisti del Donbass. Molti di questi materiali tendono ad affermare che l’intero Donbass separatista è una roccaforte antifascista. In Italia questo discorso è amplificato da una serie di piccoli gruppi di una galassia stalinista che, per sua natura, è sempre pronta a schierarsi dalla parte degli stragisti, dal sito Contropiano (vicino al sindacato USB filo-Assad e filo-Putin), fino alla band militante Banda Bassotti o a piccoli gruppi.

Queste tesi sono tornate alla ribalta con la morte nel Donbass di Edy “Bozambo” Ongaro che, condannato per aggressione, aveva trovato rifugio prima in Spagna e poi nel Donbass separatista, dove si era arruolato nel battaglione Prizrak, l’unico della regione che in effetti esibisce spesso bandiere rosse (dell’Unione Sovietica) e accoglie militanti “internazionalisti” di gruppi neostalinisti europei.

La storia del battaglione Prizrak e del suo comandante, Aleksey Mozgovoy è esemplare di come l’idea dell’esistenza di una tendenza di sinistra ed effettivamente antifascista sia una pura “patacca”.
Mozgovoy, che a differenza della maggior parte dei suoi camerati separatisti non aveva avuto una storia di militanza di estrema destra prima del 2014 (era stato soldato a contratto per cinque anni, poi aveva vissuto di occupazioni occasionali), si era tuttavia legato fin dall’inizio degli eventi di quell’anno a Igor Strelkov, l’estremista di destra di cui abbiamo già parlato e che ha guidato le fasi fondamentali dell’annessione della Crimea e della “primavera russa” separatista nel Donbass su ordini di Mosca.

Mozgovoy, che controllava un suo “feudo” ad Alchevsk, nella regione di Lugansk, faceva parte di un settore di comandanti meno direttamente controllabili da Mosca ed era presto entrato in conflitto con l’ala più burocratica che governava la cosiddetta “Repubblica di Lugansk”. Inoltre, dopo i primi mesi della “primavera russa” gli effettivi del suo battaglione stavano calando di numero. Alla fine, nel 2015, Mozgovoy è stato ucciso in un agguato quasi di sicuro organizzato dalla dirigenza di Lugansk e/o da Mosca.

Mozgovoy è sempre stato su posizioni che, per quanto confuse, erano di estrema destra e anticomuniste, come testimoniato da molto di più dei suoi soli legami con Strelkov. Per esempio, a fine agosto 2014 Mozgovoy ha preso parte a Yalta a un congresso che, sotto l’occhio paterno di Sergey Glazyev, uomo forte del Cremlino e allora consigliere di Putin, ha riunito neofascisti e neonazisti di tutta Europa, come per esempio Roberto Fiore di Forza Nuova, il neonazista belga Luc Michel o l’antisemita Israel Shamir, tra i tanti altri.

Nel novembre dello stesso anno organizzava un processo “popolare” in perfetto stile fascio-stalinista contro due uomini accusati di rapporti con una minorenne, durante il quale è riuscito a colpevolizzare con parole tipiche di un fascista le donne che non se ne stanno a casa, dopo avere annunciato che quelle trovate a frequentare un locale sarebbero state arrestate:
Il compito [delle donne] è badare ai figli. Nella nostra città è pieno di donne nei bar, anche nei night-club. […] Una donna dovrebbe essere la guardiana del focolare, la madre. E che tipo di madri diventano dopo aver frequentato i pub? …
Una donna dovrebbe stare in casa a cuocere pirozhki e bere un bicchierino solo il giorno della Festa delle donne. È ora di ricordare che siete russe!
È ora di recuperare la vostra spiritualità!
Perché una donna era innanzitutto una madre. Ma che madre potrebbe mai essere se rovina il suo organismo con l’alcool, e ai tempi d’oggi addirittura con le droghe?”.

Alcuni giorni dopo in un’intervista alla Novaya Gazeta Mozgovoy esprime il suo disprezzo per la Rivoluzione russa definendola “una sceneggiata” frutto di una cospirazione, interpretandola come l’inizio delle sventure della Russia, tutti concetti che sono un cavallo di battaglia dei reazionari di Mosca.
Della sua posizione politica sono testimonianza anche i video pubblicati dal canale Youtube del battaglione Prizrak quando era ancora vivo: Mozgovoy parla sullo sfondo di icone, bandiere nere con il teschio, ritratti di generali zaristi che hanno colonizzato il Caucaso facendo strage e simili.

La bandiera dello stesso battaglione Prizrak ha sullo sfondo una croce nera con un motivo chiaramente littorio, cosa che non deve meravigliare, visto che del battaglione hanno fatto parte come sottosezioni nel 2014-15 formazioni armate di gruppi neonazisti come Rusich, Feniks e Varyag.
Inoltre, il comandante aderiva all’ideologia omofoba imperante nelle “repubbliche” separatiste. Successivamente, verso la fine della sua carriera, il comandante ha allargato il suo battaglione anche alla partecipazione di volontari “comunisti”, ma senza alcuna contromarcia politica su tutto il resto.

Trovandosi in difficoltà e a corto di uomini nel contesto che contraddistingueva allora della regione di Lugansk, Mozgovoy ha poi cercato evidentemente di trovare una sponda in più in una serie di minigruppetti, o addirittura singoli, di tendenza stalinista. Tra di essi vi erano anche militanti di Borot’ba, un gruppo ultrastalinista che ha collaborato attivamente con i neofascisti e ha avuto pesanti responsabilità nei tragici eventi che hanno portato alla strage di Odessa del 2 maggio 2014.
Negli anni successivi è poi emerso che questo gruppo “di sinistra” era direttamente al soldo del Cremlino (si vedano Bellingcat e Nihilist).

Sappiamo benissimo tutti da sempre, e come minimo dal patto Hitler-Stalin del 1939, che non vi è alcuna stranezza nel nesso fascismo-stalinismo.
L’antifascismo dei “comunisti” del battaglione Prizrak è privo di ogni contenuto concreto, non critica il fascismo come tale, con i suoi sistemi di oppressione e repressione, che in realtà fa in buona parte propri.
Si limita a slogan di natura esclusivamente retorica e all’esaltazione della vittoria militare dell’Urss nel 1945 (interpretata però abusivamente come espressione della potenza della Russia, dimenticandosi i resistenti ucraini, bielorussi e di altri popoli che costituivano il nucleo portante della lotta sovietica contro il nazismo dopo il 1941 e che sono morti a milioni nella lotta contro i nazisti).

Infine, sulle divise dei combattenti del Prizrak, così come su ogni sfondo delle interviste a Mozgovoy, campeggia in bella vista la bandiera rossa con la X azzurra in bordi bianchi della Novorossiya.
Non solo il concetto di Novorossiya (Nuova Russia) è stato creato dal colonialismo dell’ultrareazionario Impero Russo, ma la sua bandiera odierna non si richiama ad alcuna tradizione locale: è stata scelta nel 2014 dai neofascisti che hanno fondato le repubbliche del Donbass copiandola intenzionalmente da quella dei loro camerati dell’estrema destra sudista americana.
E’ insomma una bandiera razzista, che esprime l’analoga ideologia di chi la utilizza come emblema, predicando lo schiavismo per gli ucraini e l’annullamento della nazione ucraina, che secondo loro deve essere diluita in quella russa con gli strumenti dello stragismo e della “rieducazione” forzata.

Lo studio più approfondito su Aleksy Mozgovoy è il lungo testo in tre parti di Kyrylo Tkachenko sui nessi tra neonazisti del Donbass e sinistra stalinista – scritto in tedesco, ma facilmente leggibile con un traduttore automatico:
Wie Teile der deutschen Linken Faschisten in der Ukraine unterstützen (Come parti della sinistra tedesca sostengono i fascisti in Ucraina).
Le parti specificamente dedicate a Mozgovoy e ai suoi collegamenti con l’estrema destra sono la seconda e la terza. Si tratta di un’inchiesta corredata di link a centinaia di fonti (quasi tutte separatiste o contigue) e molte foto che documentano i nessi tra il comandante e i neonazisti.

Sulla figura del comandante Mozgovoy si possono consultare anche un articolo con video di Vice, una testimonianza dell’anarchico Volodarskij ripubblicata con un commento dal sito di sinistra Ukraine Solidarity Campaign, nonché il profilo VKontakte di Mozgovoy stesso.

La realtà della guerra di oggi conferma in pieno che gli eventi del Donbass nel 2014 non sono stati altro che il primo capitolo della messa in atto di un programma genocida di chiara ispirazione fascista e neozarista.

A questo va aggiunto che chi nella sinistra italiana sostiene ossessivamente le tesi inventate di sana pianta di un’Ucraina da anni in mano a un governo fascista e in preda al terrore nazifascista, mentre in Ucraina vi è sì un preoccupante problema di estrema destra fascista da non sottovalutare, ma che rientra in limiti del tutto analoghi a quelli dell’Europa Occidentale, ignorando invece volutamente l’entità enorme del nazifascismo e dell’estrema destra nel Donbass e in Russia nell’ultimo paio di decenni, si schiera di fatto con la galassia nazifascista più potente, violenta e guerrafondaia del secondo dopoguerra.


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